Ciascun documento è individuato in modo inequivocabile da un codice alfanumerico, secondo il seguente modello: DS (= Documenti senesi) + il numero del volume (I, II, III) + il numero del documento (è seguita la numerazione adottata dal Milanesi). I documenti in appendice al vol. III sono indicati con IIIA (quindi, per es., DS.IIIA.1).
Esistono due versioni differenti di ciascun documento: una versione semidiplomatica e una versione di lettura (ma ovviamente si ha solo la seconda quando, non essendo stato reperito l’originale, è necessariamente proposta la trascrizione del Milanesi: vd. Premessa).
Nella versione semidiplomatica, diversamente da quanto avviene nella versione di lettura, sono rispettati gli accapo dell’originale; è inserito uno spazio fra un paragrafo e il successivo se presente nell’originale (spazio che può essere più o meno ampio, ma nella versione in oggetto è di una riga, raramente di due righe); sono indicati gli scioglimenti di abbreviazione o di compendio (tra parentesi quadre), le integrazioni editoriali (tra parentesi quadre: con il testo in tondo se l’integrazione, frutto di un’ipotesi più o meno motivata, pone rimedio a una lacuna materiale; in corsivo se l’integrazione è frutto di intervento editoriale del tutto arbitrario), le espunzioni (tramite le parentesi aguzze); si dà conto delle sottolineature (tramite sottolineatura: testo), delle cancellature (con la sbarratura: testo), degli inserimenti sopra il rigo (tramite i simboli ˹ ˺: ˹testo˺) o sotto il rigo (tramite i simboli ˻ ˼: ˻testo˼) o a margine (tramite gli asterischi: *testo*), della presenza di spazi bianchi (con una linea sotto il rigo lunga approssimativamente tanto quanto lo spazio). Nei casi di dubbio nel ripristino degli elementi abbreviati/compendiati, ci si adegua a quanto suggerito nello stesso testo dalle medesime, o da simili, forme esplicite: caso frequente è quello di op(er)aio/op(ar)aio, trascritto nell’uno o nell’altro modo se compare l’una o l’altra forma piena; in assenza di un riscontro intratestuale, si può verificare il comportamento dello stesso scrivente in eventuali altri testi da lui redatti; in assenza di riscontri intertestuali, si opta per la forma moderna: quindi, per es., operaio e non oparaio, settembre e non settenbre, ecc. Spesso la congiunzione e è rappresentata dalla nota tironiana simile a 7 o da un segno di altra foggia: è in genere trascritta come (e), a meno che 1) non sia presente et in forma piena e/o 2) non si trovi in un contesto latino o in un contesto volgare intriso di latineggiamenti (in tal caso sarà trascritta come (et)). Infine, solamente la versione semidiplomatica è eventualmente accompagnata da un apparato di note che vuole integrare le informazioni di tipo materiale rispetto a quanto già ricavabile a testo.
Per quanto riguarda i criteri più generali, e quindi validi in entrambe le versioni, si distingue tra u e v e si trascrive j come i (tranne che in Jacopo). Si inseriscono la punteggiatura, gli apostrofi e gli accenti secondo l’uso moderno. L’accento può figurare anche all’interno di parola se si ritiene utile a evitare ambiguità. Alcune delle più comuni distinzioni sono le seguenti: a ‘a’ vs à ‘ha’; de’ [= dee] ‘deve’ o [= dei] ‘dei’ vs dè ‘diede; po’ ‘po’’ vs pò ‘può’; vo ‘vado’ vs vo’ (= vole) ‘vuole’. Il punto in alto segnala l’assenza di una consonante finale, a prescindere dalla resa grafica scempia o doppia della consonante che segue. Nella separazione delle parole, fatto salvo il criterio dell’adesione all’uso moderno, vengono univerbate le preposizioni articolate anche nel caso di l scempia; la sequenza chel ‘che el/il’ dell’originale è trascritta che ’l; gli avverbi in -mente mantengono i propri elementi costitutivi separati se in tal modo si presentano, ma solo nei casi che vedono il mantenimento della e finale dell’aggettivo: es. ragionevole mente (ma ragionevolmente a prescindere dalla grafia unita o separata dell’originale). In alcuni casi la univerbazione/non univerbazione assume una funzione distintiva: siché (con valore causale) vs sì che (con valore consecutivo); poiché (valore causale) vs poi che (valore temporale). Per evitare di suggerire al lettore scempiamenti intervocalici non rispondenti alla realtà testuale si evita in genere l’univerbazione di locuzioni come acciò che o più tosto. I numeri sono univerbati o non univerbati secondo la soluzione presente nell’originale. Per quanto riguarda le parti di testo non leggibili per guasto meccanico, se nell’impossibilità di proporre una congettura plausibile, si inserisce fra parentesi quadre un numero di punti – ciascuno separato da uno spazio – equivalente al numero di lettere che grosso modo sembrano mancare; ma se una tale stima non è possibile, la lacuna è indicata dai tre puntini di sospensione, non separati da alcun spazio, sempre fra parentesi quadre. Nel caso di impossibilità di lettura di una o più lettere, si usano i punti interrogativi fra parentesi quadre per ciascuna lettera che non si è riuscito a decifrare.